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8 minuti
19 Giugno 2023
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19 Giugno 2023

Tutto ciò che c’è da sapere sulla “Cultura del feedback” e su come adottarla in azienda

Nadia Caretti

IN BREVE

Cosa significa la parola feedback? Quali sono le sue origini? Quale valenza ha in un contesto lavorativo? Un piccolo approfondimento sull'importanza di un corretto utilizzo dei feedback. Per costruire una cultura aziendale che migliori le performance e faccia sentire tutti speciali.

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“Aspetto un tuo feedback”.
“Resto in attesa di un feedback”.
“Sperando in un vostro feedback”.

Richiedere un riscontro o un’opinione sul lavoro svolto o in svolgimento è molto importante, tanto che spesso le nostre mail o le nostre riunioni si concludono con frasi del genere.

Ti sei mai chiesto come mai?

Il fatto è che un rapporto, lavorativo ma non solo, si basa su uno scambio continuo di informazioni. Queste informazioni, a loro volta, sono frutto di re-azioni ad azioni: io faccio, tu rispondi, io rispondo alla tua risposta e così via, potenzialmente all’infinito. Un andirivieni indispensabile per mantenere un legame nel tempo e, soprattutto, per dare ad esso significato e valore.

Pensa ad un rapporto che per te è importante: come ti sentiresti se non avessi un riscontro di ciò che fai, né nel bene, né nel male? 

Se dovessi sempre e solo intuire come stanno andando le cose e non ci fosse mai un momento di confronto, io credo che ti stancheresti in fretta. Oppure inizieresti a sentirti insicuro. Oppure ancora, nell’ansia di suscitare una reazione ad ogni costo, esagereresti combinando pasticci. In ogni caso, il rapporto sarebbe sbilanciato e non funzionale.

In ambito lavorativo accade esattamente la stessa cosa.

L’ufficio è un ecosistema in cui coesistono tanti soggetti diversi. 

Il mondo esterno agisce su di noi, inviandoci continuamente input a cui dobbiamo essere bravi a reagire; noi agiamo gli uni sugli altri, perché viviamo lo spazio insieme, lavoriamo insieme e ci influenziamo a vicenda.

Per raggiungere il risultato previsto è necessario trovare un metodo che ci aiuti a restare in equilibrio nel caos, a mantenere la calma e a restare costanti. Ed è qui che entra in gioco la cosiddetta “Cultura del feedback”.

Ma che cos’è un feedback?

Il concetto di “feedback” viene introdotto per la prima volta nel 1868 dallo scienziato inglese J. C. Maxwell, nell’ambito di uno studio in cui indagava come il ritorno di informazione permettesse ai sistemi automatici di autocorreggersi. È infatti un termine che nasce come tecnico e che, letteralmente, identifica una “retroazione” che consente ai sistemi omoeostatici di mantenere costante l’ambiente su cui agiscono.

Pensiamo a un termostato, dove la temperatura è impostata su 19°. Cosa accade se lasciamo una finestra aperta e la temperatura dell’ambiente si raffredda? Il sistema riceve un input dall’esterno che lo spinge a modificare la sua attività per ripristinare l’equilibrio, facendogli ad esempio aumentare la potenza di calore dei termosifoni. E se invece accendessimo il camino, perché vogliamo creare una bella atmosfera romantica? Beh, il calore generato farebbe reagire il termostato, che manderebbe ai termosifoni l’indicazione di spegnersi. Tutto qui? Ebbene, no.

Quando l’azione del nostro sistema viene spinta dall’ambiente esterno a modificarsi per continuare a produrre l’output desiderato parliamo di feedback NEGATIVO. Che, attenzione, non significa che il sistema stia lavorando male. Significa che quello che ha fatto non è sufficiente (o è troppo) e che serve cambiare per mantenere l’equilibrio: dall’esterno l’input è +++? Allora ci si ricalibrerà per fornire un output – – – . E, ovviamente, viceversa. In pratica il feedback è negativo perché cambia il segno dell’output, esattamente come fa il “-” davanti alla parentesi (te le ricordi le espressioni di algebra???).

Facile.

Quando però il nostro sistema funziona bene, l’ambiente esterno è costante e l’output è esattamente quello richiesto? Ci si può semplicemente sedere in panciolle a godersi un po’ di sana omeostasi, giusto? Sbagliato. È proprio qui che bisogna restare concentrati e fare un saltino di comprensione. Ti ricordi che dicevamo che ogni nostra azione suscita una reazione? Anche, e soprattutto, in questo caso, questa frase è vera: se tutto va bene, perché continui ad andare bene, il sistema lo deve sapere! Deve sentirsi rinforzato, sostenuto nel suo agire. Deve, in pratica, ricevere un feedback POSITIVO, che non cambi il segno, ma passi il messaggio “per ora tutto bene, continua esattamente così”.

Anche noi esseri umani siamo sistemi omeostatici e il mantenimento dell’equilibrio fondamentale alla nostra sopravvivenza è, appunto, regolato da feedback. A differenza dell’esempio del termostato, però, sono tanti gli elementi che devono lavorare sinergicamente (proprio come in azienda!) affinché l’output si mantenga costante.

Prendiamo ancora l’esempio della temperatura. Per gli adulti il range di norma della temperatura corporea va dai 35,3 ai 37, 7°C, con una media di circa 36,7 °C. Questo è il valore che va mantenuto. 
Cosa succede se la temperatura esterna è molto bassa? Succede che il corpo si raffredda! Viene inviato quindi un segnale di FEEDBACK NEGATIVO – (-) a cui il corpo reagisce prima con la vasocostrizione dei capillari superficiali, poi, se è il caso, con brividi, che fanno contrarre i muscoli scheletrici, producendo così calore fino al ripristino della temperatura ottimale.

Similmente, quando in un torrido pomeriggio estivo il calore elevato provoca surriscaldamento, il FEEDBACK NEGATIVO – (+) provoca una dilatazione dei vasi sanguigni e le ghiandole sudoripare si attivano per “raffreddarci” a puntino.

Senza questo meccanismo di controllo, che ci spinge a modificare il nostro funzionamento, il nostro organismo andrebbe a rotoli, incapace di gestire la minima anomalia.

E in azienda, come funziona?

Un’azienda è un po’ come un organismo, in cui diversi elementi svolgono in maniera specializzata diverse funzioni, finalizzate al mantenimento di uno status ottimale.

Inoltre, come dicevamo, lo spazio lavorativo è uno spazio relazionale. 

Cosa fai quando qualcuno a cui tieni fa qualcosa che non ti piace, che pensi sia sbagliato o possa fargli/le del male? Beh, glielo dici.

E cosa fai quando invece quel qualcuno fa qualcosa che ti piace tanto, che pensi possa essere utile al suo futuro, che la/lo valorizza o di cui c’è da essere orgogliosi?  Idem, glielo fai sapere.

Tutto vero, a meno che…esatto, la risposta la sai. A meno che di quel famoso “Qualcuno” non ti importi proprio niente. In quel caso, che faccia bene o male ti è sostanzialmente indifferente, tranne nel caso in cui il suo agire arrivi a danneggiarti. Allora scatta l’istinto di sopravvivenza e la reazione si scatena. Eccome se si scatena.

Le stesse identiche cose avvengono all’interno di un ufficio, con l’ulteriore complicazione che, mentre in una relazione si è sullo stesso piano gerarchico, in ambito lavorativo non è così: ci sono ruoli, ambiti, funzioni e anche fattori personali che intervengono (non sempre i colleghi si scelgono e men che meno si scelgono i “capi”!). Ed è così che, proprio in un ambito in cui è indispensabile comunicare, agire e re-agire e stare in equilibrio, tutto diventa più difficile.

Quindi, come si può fare?

Esistono tecniche utili a creare uno spazio in cui sia più facile dare e ricevere feedback e, soprattutto, ad “allenare” team e direzione a percepire i feedback come elementi facenti parte del normale flusso di lavoro e a capire come reagire ad essi correttamente. Ovviamente, come ogni relazione è diversa, ogni contesto lavorativo fa storia a sé ed è importante tenere in considerazione le caratteristiche specifiche del proprio ecosistema per definire le giuste strategie.

Ma i feedback sono davvero così importanti?

Sì, lo sono. E lo sono per due motivazioni fondamentali:

  1. i feedback sono atti comunicativi e, come abbiamo detto, la comunicazione è la base di un qualsiasi rapporto: se non c’è comunicazione, il rapporto non c’è;
  2. il meccanismo dei feedback consente l’autoregolamentazione ed è di conseguenza indispensabile perché le cose funzionino come si desidera funzionino. E imprescindibile se vogliamo che le cose funzionino meglio.

 

Facciamo uno sforzo di immaginazione per capire meglio cosa ciò significhi in ambito aziendale.

Sei in ufficio, ti viene dato un incarico e una scadenza.

Ipoteticamente, potrebbero accadere diverse cose:

  1. arriva il termine prestabilito e non consegni;
  2. arriva il termine prestabilito e consegni una ciofeca;
  3. arriva il termine prestabilito e consegni il tuo, senza infamia e senza lode;
  4. arriva il termine prestabilito e consegni proprio un bel lavoro;

Potrebbe darsi anche si verifichi l’opzione 5., ovvero che il termine prestabilito non arrivi mai perché sei in una puntata di Dark, ma accantoniamo per un attimo quest’ultima ipotesi.

Poniamo che sia il giorno dopo quello pattuito per la consegna e tu non ricevi NESSUN tipo di feedback. Quali sensazioni potresti provare?

  1. evidentemente non importa niente a nessuno del mio lavoro. Che tristezza. Posso non fare nulla, tanto nessuno se ne accorge.
  2. evidentemente non importa niente a nessuno del mio lavoro. Che tristezza. Posso continuare a fare ciofeche, tanto nessuno se ne accorge.
  3. ho fatto il mio, ma evidentemente non importa niente a nessuno del mio lavoro. Che tristezza. Sicuramente anche l’avessi fatto peggio sarebbe andata bene, tanto nessuno se ne accorge.
  4. ho fatto davvero un bel lavoro, ma evidentemente non importa niente a nessuno. Che tristezza. La prossima volta col cavolo che mi sbatterò così tanto.

Ecco, abbiamo forse estremizzato un po’, ma la realtà non è poi così lontana: a prescindere dall’output, la mancanza di un feedback ha come primo effetto quello di dare la percezione che il lavoro fatto non abbia importanza. Nessuno ama sentirsi invisibile e solo pochissime persone (forse) potrebbero trovare una situazione del genere stimolante. La maggior parte di noi inizierebbe a:

  1. sentirsi demotivato;
  2. dare sempre un po’ meno di quanto potrebbe;
  3. non provare alcun legame con il contesto lavorativo, se non addirittura fastidio;
  4. puntare soltanto a portare a casa in qualche modo la giornata;
  5. non dare nulla di sé, limitandosi al ruolo di pigro esecutore.


Lo spreco di risorse, talento e creatività è chiaro.
Il lavoro ne risente, l’ambiente ne risente, il business ne risente. L'”organismo” azienda ne risente.

Provare a ovviare a questi problemi limitandosi a dare “feedback” negativi, che magari non sono nemmeno feedback, ma semplici critiche, osservazioni fatte in momenti sbagliati o con toni sgradevoli (per esempio il tipico tono saccente) o  modi non corretti (sbuffi, occhi al cielo, silenzio ostile e simili), non serve a niente. O addirittura potrebbe peggiorare le cose.

Come comportarsi allora? Nel nostro contesto culturale, soprattutto in ambito lavorativo, i feedback non vengono naturalmente. Ecco perché è necessario allenarsi, impegnarsi e investire nel costruire una cultura del feedback aziendale.

Instaurare una “cultura del feedback” nella tua azienda in 3 passi:

Ogni contesto è diverso e ciascuno deve trovare la strategia che più si addice al suo modello di azienda, al suo team e alle sue esigenze. Noi vi consigliamo però tre passi che riteniamo indispensabili per costruire una buona cultura del feedback:

  1. Assessment: analizzare la situazione di partenza.
    1. come avviene la comunicazione in ufficio? 
    2. tutti si parlano serenamente fra loro o ci sono frizioni o timori? 
    3. ci sono momenti destinati ai feedback?
  2. Formazione: c’è un’idea comune sul concetto di feedback?
    1. cos’è il feedback e a cosa serve
    2. l’importanza del feedback positivo 
    3. come dare in modo costruttivo feedback negativi
  3. Costruzione: come rendere l’ambiente adatto ad una comunicazione fluida.
    1. attività di team building
    2. allenamento all’ascolto
    3. individuazione di momenti espressamente destinati alla condivisione di feedback


A questo processo di costruzione è necessario che partecipino tutti i soggetti coinvolti, soprattutto la componente direttiva/manageriale: è da lì infatti che deve scaturire questo cambio di paradigma e dovranno essere proprio le figure collocate più “in alto” a sforzarsi maggiormente, almeno in una prima fase, a richiedere feedback, mostrarsi disponibili e valorizzare i momenti di condivisione e scambio.

Ci sono strumenti che possono aiutare in questo processo che bisogna cercare di rendere il più partecipato e profondo possibile. Parliamo ad esempio di workshop o survey, costruiti per testare la sensibilità del team sull’argomento e fornire un contesto adatto per rifletterne insieme e in modo strutturato.

Sei interessat* a saperne di più sul tema?

Leggi i consigli di Leonardo Dri su Come imparare a dare buoni feedback

Inoltre noi in Marcopolo siamo a disposizione per progettare momenti di co-progettazione e workshop che possono aiutarti a rendere la tua azienda sempre più simile a come la vorresti.

Nadia Caretti
Business Relationships Developer

Fonti:
AA. VV., 15/06/2021, Omeostasi: i sistemi in grado di mantenerla consultato nel giugno 2023
Lever F., 15/05/2023, Feedback, consultato nel maggio 2023
Maldini E., 22/06/2021, Cultura del feedback: 6 passi da seguire per la Direzione HR per non farsi trovare impreparati nel New Normal, articolo del blog Network Digital 360, consultato nel maggio 2023

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